La democrazia dispotica by Michele Ciliberto;

La democrazia dispotica by Michele Ciliberto;

autore:Michele Ciliberto; [Ciliberto, M.]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Sagittari Laterza
ISBN: 9788858103036
editore: edigita
pubblicato: 2011-11-14T23:00:00+00:00


Se si legge la Questione – e la critica di Marx alla crisi dei «legami» generata dalla «rivoluzione politica» –, è difficile non pensare, come si è detto, a Tocqueville; anzi, si può azzardare un’ipotesi: la lettura della Democrazia in America, uscita pochi anni prima, ha forse inciso in modo significativo sulle posizioni di Marx sia nella Critica che nella Questione – e, specificamente, nella messa al centro dell’analisi della categoria di «feudalità» e nella nuova periodizzazione della storia europea proposta in quelle pagine.

Si è visto quanto valore Marx abbia attribuito alla dissoluzione dei «legami» nella società civile operata dalla «rivoluzione politica»: essa ha svincolato «lo spirito politico, che era ugualmente diviso, disgiunto, disperso nei vincoli della società civile, lo affrancò da questo frazionamento, lo affrancò dalla commistione con la vita civile [...]»; ma l’«eliminazione del giogo politico fu al tempo stesso l’eliminazione dei legami che tenevano avvinto lo spirito egoista della stessa società civile [...]». Di conseguenza, l’uomo venne a trovarsi in una condizione di indipendenza ma, al tempo stesso, di isolamento, di chiusura, di puro «egoismo».

È, come sappiamo, lo stesso ‘problema’ di Tocqueville, per il quale è precisamente questo il risultato dell’uguaglianza: essa «pone gli uomini fianco a fianco, senza un comune legame che li unisca. Il dispotismo innalza barriere tra loro e li divide. Quella li spinge a non pensare ai suoi simili e questo fa dell’indifferenza una specie di virtù politica»134.

Ovviamente, le cause di questa situazione sono del tutto diverse per Marx e Tocqueville: per il primo è l’effetto della separazione tra citoyen e bourgeois, mentre per il secondo è il frutto dell’eguaglianza; entrambi concordano, però, nel giudicare che questa crisi dei «legami» è il frutto della «rivoluzione politica».

Ma c’è un altro motivo che spinge a stabilire un rapporto fra questi autori così diversi: come si è visto, Marx, a differenza di quanto fa nella Critica, non tematizza nella Questione il «tempo moderno», mentre utilizza la categoria di «feudalità», individuando in essa – sia pure in modo disperso e disgregato – una presenza sia dello «spirito politico» che dei «legami» andati poi in crisi per l’azione della «rivoluzione politica». È, anche questo, un tema fondamentale di Tocqueville, che, come si è visto, analizzando l’epoca dell’assolutismo (coincidente per Marx con quella della «feudalità») individua proprio nella presenza dei «contrafforti» nobiliari e dei legami sociali il più valido baluardo contro il potere assoluto del monarca, incrinati – gli uni e gli altri – dal progressivo affermarsi del potere amministrativo, che costituisce l’autentico filo rosso della storia francese: punto, questo, decisivo su cui – come si è già accennato – concorda anche Marx nell’abbozzo del testo sulle Guerre civili in Francia e nelle pagine sulla Comune sopra citate. È dunque possibile che Marx, scrivendo la Questione ebraica, abbia avuto presente la periodizzazione proposta da Tocqueville.

Sono convergenze assai interessanti, che non derivano, ovviamente, solo dal fatto di essere uomini della stessa epoca, ma – ed è questo il punto centrale – dalla sintonia dell’uno e dell’altro sull’analisi dei motivi che



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